la storia

«Napoli nobilissima» è una delle riviste italiane di più antica e lunga tradizione, e di certo la più antica fra quelle ancora in vita che abbiano fra i loro fini primari quello di occuparsi del patrimonio culturale di Napoli e del Mezzogiorno. Vive, con alterne vicende e con interruzioni anche lunghe, dal 1892; da quando Riccardo Carafa d’Andria, Giuseppe Ceci, Luigi Conforti, Benedetto Croce, Salvatore di Giacomo, Michelangelo Schipa e Vittorio Spinazzola vollero fondarla col sottotitolo di «Rivista di topografia ed arte napoletana» e costituendo fra loro una società il cui statuto prevedeva di «illustrare la topografia e i monumenti di Napoli e contorni, promuovere la conoscenza, e vegliare (…) alla conservazione dei monumenti» stessi.

Vive senza interruzioni, è utile aggiungere, dal 1961; da quando Roberto Pane volle riprenderne la pubblicazione con una terza serie – la prima aveva avuto termine nel 1906, e la seconda, diretta da Giuseppe Ceci ed Aldo De Rinaldis aveva avuto vita breve, fra il 1920 e il 1922 – col nuovo e più moderno sottotitolo di «Rivista di arti figurative, archeologia e urbanistica» e con un maggior richiamo alla «specializzazione», alla natura specialistica della rivista stessa, ma all’insegna di «una rigorosa fedeltà» al suo programma originario e dunque alle necessità, immutate nel tempo, di conoscenza e di tutela del territorio.

La terza, la quarta (1987-1999), la quinta (2000-2009) e la sesta serie (2010-2014), tutte edite presso «L’Arte Tipografica» di Angelo Rossi senior e poi dei figli Ruggiero ed Angelo junior, non hanno avuto fra loro vere soluzioni di continuità, ma semmai qualche aggiustamento nel taglio e nei metodi di lavoro. Se il direttore della quarta serie, Raffaele Mormone, chiariva infatti e confermava il programma di Pane – «ricerca filologica di prima mano, comunicazione, didattica e impegno civile» – la direzione e la redazione della quinta, l’una composta da Ferdinando Bologna, Mario Del Treppo, Giorgio Fulco, Giuseppe Galasso, Marcello Gigante, Giulio Pane e Pasquale Villani e l’altra coordinata da Stefano Palmieri, richiamavano nel 2000 a una maggiore ampiezza del concetto di patrimonio culturale – «dal manufatto d’arte al libro, dallo strumento musicale all’ex voto, dal manoscritto di biblioteca alle carte d’archivio, dal monumento all’ambiente» –, rivedevano all’insegna del nuovo sottotitolo di «Rivista di arti, filologia e storia» la propria composizione in base a competenze più ampie – archeologi, storici dell’arte e dell’architettura, ma anche filologi e storici tout court – e ambivano in fine a ricercare «un nuovo equilibrio tra conservazione, tutela, promozione e fruizione e tra informazione ed educazione del pubblico» offrendo il proprio «contributo di idee e progetti, nella persuasione che la ricomposizione dell’unità delle conoscenze umanistiche giovi [… a questo scopo più della] specializzazione monotematica, alla quale si devono spesso attribuire i guasti della separatezza e incomunicabilità delle esperienze culturali e della conseguente mancanza di colloquio che caratterizza i nostri tempi».

La settima serie, questa, si apre con un nuovo editore, arte’m, una nuova proprietà della testata, un nuovo direttore responsabile, una nuova direzione e una rinnovata composizione del comitato scientifico, della redazione e della segreteria redazionale. Non però con intenti diversi rispetto a quelli della storia della rivista e in particolare a quelli delle sue ultime serie.

Essa proverà dunque ad essere oggi una ‘casa’ accogliente e insieme rigorosa per gli studiosi di cose meridionali, per i maggiori esperti delle varie discipline ma anche e soprattutto per i migliori giovani formatisi nelle nostre università. Un luogo di dibattito dove lo studio – comunque centrale – del patrimonio e di tutte le espressioni d’arte – antica e moderna, e in una prospettiva che da Napoli e dall’Italia meridionale guardi all’Europa – possa e voglia confrontarsi con quello della storia, della storia della città e della storia della cultura.